Il ratto d’Europa
Il Manifesto di Ventotene, redatto nel 1941 da Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi assieme ad altri intellettuali reclusi nell’isola, è un fondamentale documento che traccia le linee guida di quella che sarà la carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Nel Manifesto si affermava che un’eventuale vittoria sulle potenze fasciste sarebbe stata inutile se avesse partorito solo l’instaurazione di un’altra versione del vecchio sistema europeo di Stati-nazione sovrani, uniti semplicemente in alleanze diverse. Il Manifesto proponeva la formazione di una federazione europea sovranazionale di Stati, con l’obiettivo primario di creare un legame tra i popoli europei. I primi passi verso la realizzazione di quel sogno furono compiuti grazie alla comunione di intenti di tre uomini, un francese, un tedesco, un italiano. Tre perseguitati dal nazifascismo, tre statisti: Robert Schuman, Konrad Adenauer e Alcide De Gasperi.
Cosa è rimasto oggi di quel sogno? L’attuale Unione europea è divenuta soprattutto un’unione monetaria dai fragili assetti istituzionali e sovranazionali. Un progetto monco che oggi registra una gravissima regressione grazie all’avanzata clamorosa, in Europa e negli Usa, di forze sovraniste se non chiaramente fasciste. Ricordo a chi afferma che il fascismo è morto e sepolto, che nel 1943 è scomparso un Regime, ma l’ideologia è sopravvissuta come un fiume sotterraneo che oggi all’improvviso è riaffiorato. Stiamo tornando all’Europa degli egoismi, degli “Stati nazione” e della chiusura delle frontiere con muri e barriere di filo spinato, un’Europa dalla quale evidentemente non ci eravamo mai realmente affrancati. Oggi l’Europa, di fatto, non c’è più, sopravvive solo come una mera “espressione geografica” (Metternich docet). La prima vera crisi internazionale, il fenomeno dell’immigrazione, ha messo a nudo la fragilità delle nostre comunità. E senza un’identità condivisa non ci sarà mai una vera Unione europea
Assisto sgomento a un’anomala, triste riedizione del leggendario ratto d’Europa con, al posto del mitico toro predatore, il sorcio dell’odierno nazionalismo sfrenato.





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