Sì o No?
Non mi piace Renzi.
Non mi piacciono il suo esagerato dinamismo, la sua spregiudicatezza, il sarcasmo (Fassina chi?) e i molti suoi interventi finalizzati alla creazione di consenso. Mi fa però sorridere l’accusa di arroganza quando gli viene mossa dal divulgatore della leggendaria battuta «Capotavola è dove mi siedo io»: il rancoroso compagno Massimo D’Alema che, in quanto ad arroganza, è sicuramente un esperto.
In questo difficile momento per il nostro Paese, se ci fosse in circolazione un De Gasperi, un Moro o un Berlinguer, saprei a chi rivolgermi. Ma dopo Renzi, dovremmo scegliere tra Salvini, Grillo (con la coorte dei Di Maio) o i frammenti impazziti del Berlusconismo, da sempre incapace di dare all’Italia una destra seria di stampo europeo. Allora, turandomi il naso, meglio Renzi che, anche se tra molti errori di forma e di sostanza, cerca di cambiare le cose tirandoci fuori dalla palude.
Sul referendum ho avuto anche io le mie perplessità, soprattutto per quanto riguarda la legge elettorale, l’Italicum, che tutti collegano con la riforma costituzionale anche se è un capitolo a parte che – tra l’altro – il capo del governo si è impegnato a modificare con l’ausilio di chi è disposto a collaborare.
Ho atteso perciò con ansia il confronto televisivo tra Renzi e Zagrebelsky, uno degli uomini che più stimo e ammiro, per la sua cultura e la sua saggezza. Da lui mi aspettavo una spiegazione illuminante sulle ragioni del No.
La delusione però è stata grande. Ho assistito a un teatrino delle parti in cui Renzi figurava nel ruolo dell’allievo reverente ma disingannato, e Zagrebelsky in quello del sussiegoso cattedratico.
Con mia meraviglia il costituzionalista ha dichiarato di preferire il mantenimento dello status quo e quindi del bicameralismo paritario (che tutti da oltre trent’anni vorrebbero, solo a parole, abolire) e si è poi perso in una serie di cavilli che mi sarei aspettato da un azzeccagarbugli e non da lui (ne cito uno, e sintetizzo a memoria. Z.: i nuovi senatori, rappresentanti delle istituzioni territoriali, dovranno trascurare il loro lavoro per recarsi periodicamente a Roma. R.: ma questo già accade in Francia e Germania. Z.: sì, ma lì possono essere sostituiti!). Ha poi evocato i soliti poteri forti (che nessuno chiama per nome e cognome), ha paventato – in caso di vittoria del Sì – una deriva autoritaria nel Paese, e il passaggio da una democrazia a una oligarchia.
Uno scenario orwelliano, a mio avviso fuori dalla realtà e dalla semplicità dei quesiti per cui siamo chiamati a votare.
Se diremo No al superamento del bicameralismo paritario, No alla riduzione del numero dei parlamentari, No al contenimento dei costi di funzionamento delle Istituzioni, No all’abolizione del Cnel e No alla revisione del Titolo V della parte II della Costituzione, nessuno in futuro potrà riproporci questi quesiti, visto che avremo deciso di tenerci, per altri trent’anni, l’attuale Costituzione.
Zagrebelsky mi ha tolto ogni dubbio: voterò Sì.




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